Il “non ancora” che ci fa paura
- Vittoria Pinato
- 26 feb 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 5 nov 2024

Tutto ciò che “non è ancora” sembra spaventarci. Soprattutto a noi, giovani e giovani adulti, tra i venti e i trent’anni.
In questo presente, quando tendiamo lo sguardo al futuro ci sembra sia poco futuribile, come scrive la psicoterapeuta Stefania Andreoli in “Perfetti o Felici”.
Il futuro ci fa tremare i piedi, ci paralizza innanzi la nostra stessa vita. Soprattutto quando, proprio in quel futuro, ci gettiamo i sogni (sempre considerando ce ne siano).
Quello che sembra distanziarsi, anche solo un poco, dalla nostra vita di sempre, rigonfia una nuvola di aspettative, desideri e sogni. Alle volte, anche solo avvicinarsi ci risulta difficile. Quel che pare a me, è che cerchiamo un po' tutti di prefigurarci, di catalogarci, di definirci con forzatura, come fossimo pezzetti di una moodboard, o meglio, come quasi fossimo il riflesso (scopiazzato) di un lifestyle. Complicato non farlo, visto il nostro magico algoritmo personale che ci propone in ogni istante quello che crede che potrebbe avvicinarsi al nostro "fantomatico stile di vita". Ma autenticità non è una rincorsa verso qualcosa di altro da noi, ma è la capacità di rinunciare alle mille imitazioni, di cui tutti siamo abituati.
Siamo certi che questa direzione possa renderci orgogliosi della nostra di vita? Cosa stiamo rincorrendo? Provate a rispondervi. A me pare che non importa che cosa si stia rincorrendo, ma che l’importante sia sempre: essere in movimento. Sembriamo dei beyblade (i figli degli anni Novanta annuiscono): piccole trottoline sganciate al suolo che vanno un po’ caso, ruotando su loro stesse. Il beyblade più fiko è quello che trotterella di più (NB: al posto di trotterellare puoi inserire un qualsiasi verbo a tuo piacimento che riguarda l'agire). Chi sono i beyblade? Li riconosci: sono quelli che non si fermano mai, che sono sempre di fretta, che lavorano 18 ore al giorno e ogni tre per due, te lo ricordano. A colazione, pranzo, cena hanno sempre il cellulare in mano, non si lasciano sfuggire una chiamata. Non si perdono una notifica. Sono sempre vigili. Non si distraggono, deridono chi ha la testa tra le nuvole. Hanno costantemente la mente fissa sulla loro to-do-list e sulle loro task. Davanti a una birra con gli amici, metteranno sempre al primo posto la loro to-do-list. La to-do-list è la loro amica più fidata e finché non è tutta spuntata il beyblade impazzito non può smettere di correre.
Non è un'accusa, lo siamo tutti - chi più e chi meno - un po' dei beyblade.
Eppure nonostante siamo sempre in moto, al contempo ci sentiamo immobilizzati. Correre ci permette di non fermarci a riflettere. Correre ci tiene la mente occupata e occuparci il tempo di cose da fare ci fa credere che vada tutto magnificamente bene, perché stiamo facendo. Poco importa cosa e perché, ma stiamo facendo. E se fai, in questa società, sei un essere umano che funziona. Ma funzionare non vuol dire inserire il pilota automatico. Dovremmo smettere di mimare di vivere (semicit. Stefania Andreoli), poiché non ne deriva nulla di vero e di spontaneo, ma solo un perpetuo copia e incolla che ci allontana sempre più, da noi. Con una sana dose di coraggio, dovremmo provare a buttarci di testa nel nostro più profondo "non ancora", svelarlo, sbatterci la testa, per poi farci amicizia. Stringere un sano rapporto con la nostra parte più profonda, che apparentemente sembra lontana, eppure è la più reale. "Non ancora" è paura, incertezza e mistero, ma la sua duplice faccia è il tentativo vitale di voler essere a tutti i costi, noi stessi e quindi felici.
Proviamoci, per favore, prima di arrenderci.